16 Mar 2021

Kpet intervista Aldo La Spina

Direttore tecnico di Medical Detection Dogs Italy

MDDI - Medical Detection Dogs Italy Onlus Credit Photo: Simone Bergamaschi

Kpet ha avuto il piacere di conoscere e confrontarsi con Aldo la Spina, istruttore di cani d’assistenza certificato Hearing Dogs UK e direttore tecnico della sezione italiana di Medical Detection Dogs. L’istituto collabora con enti pubblici e privati, coinvolgendo medici, ricercatori e veterinari nell’ambito della ricerca medica sull’impiego dell’olfatto canino per la diagnosi precoce dei tumori nell’uomo.

Nell’ultimo anno, in seguito alla pandemia da Covid-19, Medical Detection Dogs Italy si è anche impegnata in un progetto di ricerca scientifica sull’impiego del fiuto dei cani nell’individuare le infezioni da virus Sars-cov-2.

La Spina, può parlarci di questo progetto?
«L’obiettivo che ci siamo posti è quello di preparare cani in grado di effettuare screening di massa sul Covid-19, da effettuarsi direttamente sulle persone, che riescano grazie al loro fiuto a individuare le persone positive, sia sintomatiche che asintomatiche. In alcuni Paesi europei sono già state presentate ricerche scientifiche in tal senso, ma noi crediamo che alcuni procedimenti – ad esempio far esaminare al cane una garza con residui di sudore – siano ormai superati dai test rapidi. Quello che abbiamo in mente è riuscire a intervenire in luoghi affollati, con animali che in pochi minuti riescano a passare in rassegna centinaia di persone. È possibile e lo abbiamo già verificato in alcune situazione sperimentali, non pubbliche; adesso vorremmo produrre una documentazione basata su dati scientifici. Se tutto ciò andrà in porto saremmo in grado di formare il personale di istituzioni e sicurezza privata, protezione civile, affinché possano addestrare i cani a questo tipo di operazione».

In che modo i cani riescono a rilevare tracce del virus?
«Naturalmente è scontato dire che il virus non ha odore, mentre il nostro corpo sì. E questo odore - senza che noi ce ne accorgiamo - cambia ogni volta che si contrae una malattia. Ogni patologia o disfunzione metabolica genera un cambio di odore che questi animali sono in grado di intercettare. Noi, chiaramente, vogliamo certificare il metodo con basi scientifiche e metodologiche, così che possa valere per tutti i tipi di virus e di batteri oppure con future mutazioni dello stesso Covid-19».

In questo momento, su cosa si sta concentrando?
«Questa è una fase delicata, di raccolta dei fondi, visto che dovremo mettere insieme un numero molto alto di campioni e provvedere ai costi del materiale necessario. Collaboriamo con il Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Milano e con il polo universitario dell’Ospedale Sacco, che ci fornirà i campioni. Poi ci affidiamo alle donazioni, sia da parte di enti pubblici che privati, perché anche una piccola donazione di dieci euro può essere molto preziosa per acquistare, faccio un esempio, delle pinzette».
È possibile sostenere il progetto di Medical Detection Dogs Italy attraverso una donazione sul loro sito internet: www.mddi.it/it/featured/come-donare

Quanto tempo occorre per addestrare i cani?
«Dipende dalla predisposizione dell’animale: ci sono razze più collaborative e cani già abituati a lavorare con l’uomo. Credo però che, impiegando cani già esperti nella discriminazione olfattiva, con alcuni mesi di addestramento si possano ottenere risultati affidabili».

Quanto possono dare i detection dogs alla medicina tradizionale?
«I cani hanno un potenziale enorme nella bio-diagnosi precoce di malattie infettive e nell’assistenza ai malati con diabete, epilessia e altre malattie metaboliche, riuscendo a prevenire eventi che rischiano di essere critici. Inoltre, lavorando sulla prevenzione e sull’allerta medica si possono risparmiare molte risorse. Il nostro scopo principale è la ricerca, e in particolare abbiamo esperienza sulla prevenzione del tumore al polmone, con una pubblicazione internazionale e una convenzione con l’Università di veterinaria di Milano che continua ad essere rinnovata di anno in anno per produrre altre pubblicazioni scientifiche».

Quali sono, secondo lei, i tempi in cui è ragionevole attendersi che questa pratica possa diventare un riferimento anche in ambito medico?
«Basta pensare che oggi è normale vedere un cane impiegato nella ricerca di una persona dispersa, ma ai miei tempi sembrava un’utopia. Ecco, vorrei che anche in medicina si arrivasse a questo punto. Con l’aiuto dei nuovi mezzi di comunicazione questa volta ci vorrà meno tempo, penso che in quattro o cinque anni con una mano delle istituzioni, non solo economica ma anche a livello organizzativo, ce la faremo. Il Ministero è molto attento a questo ramo della ricerca e c’è l’intento di fare ordine e regolamentarlo, azioni che darebbero un input ancora maggiore».

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